● Contro il monachesimo e l’ imposizione del celibato nella Chiesa Cattolica Romana
L’IMPOSIZIONE DEL CELIBATO NELLA CHIESA CATTOLICA ROMANA
Molti vedono nel celibato imposto dalla chiesa cattolica romana a vescovi e preti la causa delle perversità commesse nel corso dei secoli, ad esempio in certi conventi, o verso i minori. La stampa ha portato alla ribalta diversi scandali accertati ai nostri giorni, e la gente si interroga sulle conseguenze della regola del celibato.
Ma chi ha imposto questa regola? Non Dio, infatti la Bibbia dice:
“Il VESCOVO sia irreprensibile, marito di una sola moglie“ (1 Timoteo 3:2).
“Sia il matrimonio tenuto in onore da tutti, e sia il talamo (letto coniugale) incontaminato; poiché Iddio giudicherà i fornicatori e gli adulteri” (Ebrei 13:4).
Non solo, la stessa Parola di Dio afferma che solo i predicatori di false dottrine vieteranno il matrimonio:
“Ma lo Spirito dice espressamente che nei tempi a venire alcuni apostateranno dalla fede, dando retta a spiriti seduttori, e a dottrine di demoni per via della ipocrisia di uomini che proferiranno menzogna, segnati di un marchio nella loro propria coscienza; i quali VIETERANNO il matrimonio e ordineranno l´astensione da cibi che Dio ha creati…” (1 Timoteo 4:1-3).
È vero che l’apostolo Paolo consigliò a chi vuole dedicarsi pienamente a Cristo di restare celibe, ma non impose affatto il celibato come condizione obbligatoria (1 Corinzi 7:9), come invece ha fatto la chiesa cattolica arbitrariamente. Anzi, egli consigliò:
“per evitare le fornicazioni, ogni uomo abbia la propria moglie“ (1 Corinzi 7:2, cfr. Matt. 19:11).
Lo stesso apostolo Pietro, su cui la chiesa cattolica asserisce di fondarsi, era sposato (in Matteo 8:14 ad esempio leggiamo della guarigione di sua suocera), e come lui erano sposati gli altri apostoli (1 Corinzi 9:5), a eccezione di Paolo e Barnaba. Eppure gli apostoli erano degli uomini santi perché si santificavano nel timore di Dio e non davano motivo di scandalo in alcuna cosa. Essere sposati ed avere relazioni con la propria moglie non significa affatto non essere in condizione di poter servire Dio!
Inoltre, l’apostolo Paolo scrisse a Tito che l’anziano (ossia il vescovo) oltre che marito di una sola moglie, per essere assunto in questo ufficio, deve essere anche giusto, santo, e temperante; ciò significa che il vescovo anche se sposato può certamente avere queste qualità.
Anche i teologi dei primi secoli (che la chiesa cattolica definisce “padri” della chiesa) erano di questo parere. Giovanni Crisostomo (344-407 d.C.) affermò:
“S. Paolo ha scritto per turare la bocca agli eretici che condannano il matrimonio, e per mostrare che il matrimonio non solo è cosa innocente, ma eziandio è così onorevole che con esso si può diventare vescovo” (Crisostomo, Hom. II, in Ep. Tit. cap. II).
Tutto ciò dimostra chiaramente che il celibato del clero non è un comandamento di Dio. Esso fu imposto da alcuni sinodi cattolici (Elvira, Orange, Arles, Agde, Toledo) e dal Concilio Lateranense del 1139. Fu una decisione sbagliata perché ovviamente molti preti e suore non riescono a vivere tutta la vita in totale astinenza sessuale, e ciò li porta a cercare altri tipi di rapporti più o meno nascosti ma comunque illeciti e talvolta diffusi in certi ambienti (conventi, seminari).
Dio considera le relazioni tra persone non sposate come peccato estremamente grave (1 Corinzi 6:9-10,18; Atti 15:28-29; Apocalisse 21:8), e condanna quanti causano scandali (Matteo 18:7; Luca 17:2). Quei preti che non riescono a resistere alla regola che il papato impone loro, cadono così in peccati sessuali e hanno una più severa condanna da Dio e scandalizzano molti.
Non stiamo dicendo che tutti i preti e tutti i pastori devono sposarsi, ma che sposarsi o no deve essere una decisione personale e libera, conforme all’insegnamento della Bibbia.
COME SI È ARRIVATI AL CELIBATO CATTOLICO
Tracciamo una breve storia delle principali tappe che hanno condotto all’imposizione del celibato per sacerdoti e appartenenti alla “vita consacrata” (monaci, ecc.), seguendo quanto riferiscono il Dizionario storico del Cristianesimo e Il Cristianesimo dalla A alla Z, delle edizioni Paoline (C. Andresen – G. Denzler, 1992; P. Petrosillo, 1995).
- Correnti ascetiche e dualistiche fecero sì che in passato il celibato godesse in genere di maggiore stima rispetto al matrimonio.
- Sebbene non ci fosse nessun riferimento diretto ed evidente con il ministero o la vita del prete – piuttosto il contrario (lettere pastorali) – fu presto considerata legge non scritta che un prete celibe, una volta consacrato, non potesse più sposarsi, pena l’abbandono del ministero.
- Nel IV sec. si intensificarono i tentativi, anche con definizioni canoniche, di obbligare i chierici legittimamente sposati (dal suddiacono al vescovo) all’astinenza coniugale.
- Il concilio di Nicea (325) respinse questa richiesta, mentre alcuni sinodi occidentali si pronunciarono per una simile legislazione. Dal V sec., parecchi sinodi richiesero sia ai candidati celibi che a quelli sposati una promessa di astinenza.
- In Occidente la disciplina dell’astinenza per i chierici, nonostante numerose infrazioni e abusi, fu mantenuta e anzi continuamente inasprita. Soprattutto i papi riformatori dell’XI sec. combatterono i religiosi concubinari e le loro concubine.
- I concili I e II del Laterano (1123 e 1139) presero delle altre severe misure, dichiarando il ricevimento dei gradi maggiori dell’ordine impedimento dirimente al matrimonio (cioè: prima se un prete si sposava, il matrimonio era valido, ma egli doveva ritirarsi dal ministero; poi il matrimonio di un prete divenne invalido – cioè non era neppure considerato matrimonio – e per di più seguiva la scomunica; gli eventuali figli furono considerati illegittimi).
- Durante il Medioevo ma anche dopo il concilio di Trento (XVI sec.) e fino a oggi, rimane immutata la legge del celibato di fronte agli attacchi dei riformatori.
- Paolo VI (1963-78) concesse la possibilità di contrarre matrimonio religioso, previa riduzione allo stato laicale.
- La possibilità che la legge del celibato potesse essere abolita in parte o del tutto fu annullata dall’enciclica Sacerdotalis caelibatus di Paolo VI (1967). [Paolo VI nella stessa enciclica, al n. 5, dice: “Il Nuovo Testamento, nel quale è conservata la dottrina di Cristo e degli Apostoli, non esige il celibato dei ministri sacri. Gesù stesso non ha posto questa pregiudiziale nella scelta dei Dodici, come del resto gli Apostoli per coloro che venivano preposti alle prime comunità cristiane”].
- Giovanni Paolo II si mostrò a questo riguardo fin dall’inizio contrario a qualsiasi cambiamento.
Presso gli Ortodossi, la proibizione del matrimonio riguarda invece solo i vescovi, ma preti e diaconi possono sposarsi solo prima dell’ordinazione; ciò vale anche per la Chiesa Cattolica di rito orientale… “La consuetudine senza la verità è soltanto l’antichità dell’errore” (Cipriano).
Il Dizionario sopracitato ricorda, molto opportunamente, le cosiddette “lettere pastorali”, ossia quelle dell’apostolo Paolo a Timoteo e Tito. Leggiamo alcuni passi da queste lettere del Nuovo Testamento (Parola scritta di Dio) e confrontiamole con quanto visto sopra:
- “2 Bisogna dunque che il vescovo sia irreprensibile, marito di una sola moglie, sobrio, assennato, costumato, ospitale, atto ad insegnare, 3 non dedito al vino né violento, ma sia mite, non litigioso, non amante del danaro 4 che governi bene la propria famiglia e tenga i figliuoli in sottomissione e in tutta riverenza 5 (che se uno non sa governare la propria famiglia, come potrà aver cura della chiesa di Dio?)“ (1° Timoteo 3: 2,5)
- “Ciascuno di loro [i vescovi] sia irreprensibile, marito di una sola moglie, e abbia figli fedeli…” (Tito 1:6)
- “1 Ma lo Spirito dice espressamente che nei tempi a venire alcuni apostateranno dalla fede, dando retta a spiriti seduttori, e a dottrine di demoni 2 per via della ipocrisia di uomini che proferiranno menzogna, segnati di un marchio nella loro propria coscienza; 3 i quali vieteranno il matrimonio e ordineranno l´astensione da cibi che Dio ha creati…” (1 Timoteo 4:1-3)
IL MONACHESIMO
I teologi cattolici insegnano che è cosa buona e meritevole isolarsi dal mondo per darsi alla vita monastica. Per monachesimo si intende la vita ascetica in comune o vita cenobitica nata in Oriente nel secolo quarto la quale si diffuse quasi contemporaneamente anche in Occidente.
Inizialmente il monachesimo era poco organizzato, ma con Benedetto da Norcia esso ricevette una regola ben precisa, la cosiddetta regola di Benedetto che contribuì molto a sviluppare il monachesimo sia maschile che femminile. Lo stesso Benedetto costruì un monastero a Montecassino intorno al 529. Da questo monte, secondo Urbano II, “quasi da paradisiaca fonte scaturì la veneranda istituzione dell’Ordine monastico”.
Nel Medioevo questo monte arrivò addirittura ad essere paragonato al monte Sinai. Per ciò che concerne la regola di Benedetto da Norcia essa dice che il monaco deve rinunciare ad ogni bene materiale privato, rimanere casto e vivere nella più profonda povertà personale; le sue attività giornaliere sono la preghiera, la lettura e il lavoro.
Ma il monachesimo non è un insegnamento biblico. I credenti, secondo l’insegnamento del Signore, non sono chiamati a fare una vita da eremiti, nel deserto o su un monte, lontano dalle persone, ma sono invece chiamati a vivere in mezzo agli uomini, come “figli di Dio senza biasimo in mezzo a una generazione storta e perversa, nella quale risplendete come astri nel mondo” (Filippesi 2:15).
Gesù lo ha ribadito quando disse ai suoi:
“Voi siete la luce del mondo; una città posta sopra un monte non può rimanere nascosta, e non si accende una lampada per metterla sotto il moggio; anzi la si mette sul candeliere ed essa fa luce a tutti quelli che sono in casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli” (Matt. 5:14-16).
Gesù stesso che era la luce del mondo visse in mezzo alla gente di questo mondo, il suo ministerio non lo adempì in un cantuccio, ma pubblicamente in mezzo ai peccatori. Mangiò e bevve assieme ai pubblicani e ai peccatori, insegnò per le strade, per le piazze, sui monti, sulle rive del mare di Galilea, nelle sinagoghe e nel tempio che erano i luoghi dove i Giudei si radunavano per udire la legge e i profeti.
Qualcuno dirà che anche Gesù si appartò sul monte con i discepoli, e si ritirava in luoghi deserti. È vero, ma è altresì vero che egli non vi rimase tutta la vita come invece fanno i monaci o le monache di clausura. Lui si ritirava in disparte lontano dalla folla per pregare (Luca 5:16, Matteo 14:23), ma poco dopo tornava nei paesi e nelle città per predicare l’Evangelo e guarire coloro che avevano bisogno di guarigione. Anche noi abbiamo il dovere di restare tra la gente che non conosce il Signore per testimoniargli in parole e in opere l’Evangelo di Dio.
A che serve la lampada se dopo essere stata accesa viene messa sotto il letto? A nulla. Nella stessa maniera, che utile ne avranno le persone del mondo se i discepoli di Cristo si rifugiano in qualche luogo sperduto della terra per vivere da eremiti? Nessuno.
Ricordiamo poi che sia nei monasteri dei monaci che nei conventi delle monache, il fatto che essi sono obbligati a rinunciare a sposarsi, alimenta sia la fornicazione che la sodomia. Questa è una delle nefaste conseguenze del monachesimo. Tutto ciò ci insegna che ogni qualvolta si viola la Parola di Dio e al suo posto si stabiliscono precetti umani i frutti non possono che essere dannosi.
(questo paragrafo è tratto dal libro di Giacinto Butindaro: “La Chiesa Cattolica Romana”)
Tratto da: http://camcris.altervista.org/celibato.html
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Commento by Marcello Ranieri | Settembre 29th, 2015
La Chiesa Cattolica è una religione pagana che nulla ha a che spartire col dettato biblico, verso il quale si pone in assoluta antitesi e per dottrina che per prassi.
Sia bastevole al Lettore, aver contezza della circostanza che costoro nel medioevo vietavano ai loro fedeli la lettura della Bibbia sotto pena di scomunica.
Cattolici romani pagani e bestemmiatori.